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Impressioni di Parigi

domenica 11 novembre 2012

Ho aspettato pazientemente che arrivasse il momento di fare un viaggio a Parigi. La pazienza e' stata premiata proprio nel momento in cui attorno a me 'Parigi' tornava ricorrentemente a proporsi nella mia quotidianita'. Dai libri, dalla televisione, dai discorsi con gli amici, da Internet. Tutto mi suggeriva Parigi. E quando mi e' stato proposto di passare un lungo fine settimana in questa splendida realta', non ho avuto esitazioni. E poi tutto mi lasciava presagire che era un momento propizio. Anche la stagione. La primavera ci avrebbe permesso di visitare questa citta' magari baciata dal candido sole di questo periodo dell'anno. E se poi non ci fosse stato, anche il grigio del cielo che tipicamente l'avvolge e la pioggia fine che la bagna, non avrebbe mutato il fascino, ma avrebbe cambiato in noi solo il modo di percepirlo.

L'arrivo all'aeroporto Charles De Gualle di Parigi mi ha fatto avvertire che tanta differenza con l'Italia poi non c'e'. Per prendere un biglietto della RER (Reseau Express Regional, i treni regionali che collegano i sobborghi al centro di Parigi) per arrivare a Gare du Nord, abbiamo fatto in pratica una coda che e' durata piu' del viaggio in aereo. Non solo perche' non c'erano macchinette automatiche per i biglietti della RER, ma anche perche' della decina di sportelli della biglietteria, solo uno era aperto.

Una volta fatto il biglietto, arriviamo facilmente a Gare du Nord e da li' ci incamminiamo verso il vicino albergo nella zona di Montmartre, cosi' chiamata perche' dominata dalla collina (Butte de Montmartre) sulla quale i romani decapitarono Saint-Denis. La zona visse momenti di fervore artistico durante la Belle Epoque, e comunque conserva un fascino immortale. Visto il richiamo turistico del quartiere ci eravamo illusi, quindi, che fosse accogliente e ospitale. Se non che ci accorgiamo presto di essere capitati nel sobborgo 'Maghreb' del quartiere. Un ambiente, all'apparenza, del tutto ostile e sudicio. E alla vista di cio' ho continuato ad elaborare nella mia mente i confronti con l'Italia.

Dopo esserci sistemati velocemente nelle stanze, ci siamo precipitati fuori per mettere qualcosa di pratico e sostanzioso sotto i denti. Per poi catapultarci verso la vicina place Pigalle. E nell'avvicinarci, arrivando dalla stazione metropolitana di Barbes Rochechouart, era un crescendo di luci e movimento. Una progressione di colori e la curiosita' del quartiere a luci rosse pian piano cominciava a materializzarsi. Quasi invitava ad entrare e a sbirciare cosa dentro ci fosse, ma forse erano i PR che stavano davanti al locale - per lo piu' gente dell'Est o Nordafricani - che infondevano in noi diffidenza e ci davano delle buone ragioni per andare dritto. Tuttavia, nessuno e' stato mai invadente e mai e' stato antipatico nel rapportarsi a noi. Ma la loro presenza sposava il preconcetto del malaffare che spesso si associa a queste etnie quando trovi di queste persone in determinati contesti.

La nostra passeggiata prosegue per boulevard de Clichy e ci fermiamo davanti al Moulin Rouge per dei doverosi scatti da portare indietro come ricordo. Sebbene qualcuno di noi ci avesse spudoratamente creduto di riuscire ad entrare vestendosi di un elegantissimo doppio petto, si e' dovuto irrevocabilmente ricredere visto il proibitivo prezzo del biglietto d'ingresso.

Al mattino e' stato pressocche' impossibile trovare nel nostro quartiere un cafe' tipico parigino. Uno di quelli con i tavolini all'aperto dove ti siedi e ti viene servito un cafe' creme e una brioche e ti confondi tra un Parigino e un turista. Abbiamo finito di fare una volta il giro del quartiere e abbiamo iniziato un secondo giro e alla fine abbiamo deciso di fermarci al bar di un simpaticissimo tunisino che faceva degli ottimi caffe' espresso e aveva dei dolci altrettanto buoni oltre ai croissant, tutti rigorosamente ed esageratamente carichi di burro, prodotti nell'annessa rosticceria a conduzione familiare. Di questo posto ne abbiamo fatto un ritrovo obbligatorio giornaliero, se non per il mattino quando partivamo per il nostro tour quotidiano, la sera quando arrivavamo, non solo per i prezzi onesti che aveva, ma soprattutto per la grande umanita' della gente che lo frequentava.

Dopo un appagante cafe' lounge e un enorme croissant con creme, attraversiamo il trafficatissimo hallesdi rue de la Chapelle, che si svolge sotto la soprelevata della linea della metro che in quel punto esce fuori dalle viscere di Parigi. Nella bolgia assistiamo ad un ammanettamento in diretta di un Islamico che aveva appena finito di fare a cazzotti con qualche suo simile. Ma non ci saremmo mai accorti di nulla, tant'e' la concitazione in quell'halles che lo fa per molti aspetti assomigliare al souq all'interno della medina di Marrakech.

A Garde du Nord facciamo il nostro abbonamento di tre giorni che per venti euro e settanta centesimi ci permettera' di muoverci in liberta' nell'intra-muros di Parigi con la metro o con gli autobus (di cui non ci siamo mai serviti). La nostra prima destinazione e' la Tour Eiffel. Alla sua visione ne rimaniamo stupiti dalle dimensioni ma non certo dall'aspetto. Ci rendiamo conto del perche' molti Parigini con spregio la chiamano l''asparago di ferro'. E forse la giornata grigia e dal freddo vento pungente che spira nei grandi spazi aperti che si aprono sotto essa, che ne ha amplificato questo aspetto inquietante. In tanti, tantissimi, comunque erano in fila per prendere gli ascensori che consentono di salire ad uno dei tre ripiani a cui e' permesso accedere. Noi deliberatamente abbiamo proseguito, attraversando il ponte e dirigendoci verso place du Trocadero.

E' impossibile non fermarsi davanti alle fontane e agli artistici giochi d'acqua dei Jardins du Trocadero. E ogni possibile angolatura e' diventata uno sfondo plausibile per le nostre foto. Salendo sulla balconata abbiamo invece potuto ammirare la vista sui sottostanti giardini e, oltre la Senna, la Tour Eiffel, il retrostante Parc du Champ de Mars e un ampio panorama della citta'.

Cartina alla mano, in poche decine di minuti siamo arrivati all'Arc de Triomphe, percorrendo avenue Kleber, un elegante e raffinato boulevard costellato da boutique di lusso frequentate necessariamente da una clientela altolocata, che partono a raggera da place du Trocadero. L'enorme rotonda che l'accerchia e il grande traffico che la stessa rotonda convoglia, rendono praticamente impossibile l'attraversamento pedonale. Tuttavia un lungo sottopasso consente di raggiungere il mausoleo che difatti e' una meta molto popolare tra i visitatori di Parigi. D'altra parte questa enorme struttura posta al centro di place de Charles De Gualle, voluta da Napoleone per celebrare le sue conquiste, corrisponde al nostro Altare della Patria. Ai suoi piedi infatti brucia ininterrottamente una fiamma accesa dal 1919 in memoria di tutti i caduti per la patria.

Ci incamminiamo quindi per avenue des Champes Elysee, immettendoci difatti in quella che viene chiamata Voie Triomphale o Axe Historique ('Asse Storico') che e' la direttrice che attraversa la citta' da sud-est a nord-ovest, fino alla Grande Arche nel quartiere della Defense (*). Percorriamo un bel tratto quando decidiamo di fermarci a pranzo. Poi riprendiamo ma e' difficile riuscire a percorrere tutta la via e per la lunghezza e per l'elevata concentrazione di negozi di griffe che difficilmente si riesce a passare davanti senza fermarsi catturati dalle accattivanti vetrine o solo per il risalto del marchio.

Fino a quando non giungiamo al Rond Point Champ Elysee Marcel Dassault. Da qui il boulevard si immerge nel verde e i tratti pedonali ai suoi lati diventano ciotolosi. Prima di arrivare a place de la Concorde, ci lasciamo alla nostra destra il Grand Palais costruito, con la sua caratteristica copertura in vetro in stile Art Noveau in occasione dell'Esposizione Universale del 1900, e l'antistante statua bronzea di Charles De Gualle a cavallo. Sullo sfondo, invece, proseguendo con lo sguardo verso la Senna, il bellissimo pont Alexandre III, costeggiato da sfarzosissime decorazioni dorate.

Arrivati a place de la Concorde facciamo una leggera digressione verso place de la Madeleine per visitare l'Eglise de la Madeleine, la chiesa neoclassica costruita al centro della piazza che ha l'aria di un tempio dell'antica grecia. La freddezza dell'architettura non ci ispira al punto di entrare al suo interno. Risaliamo comunque l'antistante scalinata che permette di catturare con lo sguardo tutta la prestigiosa rue Royal, place de la Concorde e oltre, fino all'Assemblee Nationale, l'edificio che ospita la camera bassa del parlamento francese.

Lungo rue Royale ci firmiamo per scattare una foto davanti al Maxim's, il locale molto frequentato da artisti nella Parigi della Belle Epoque. Ritorniamo cosi' in place de la Concorde. Da' un brivido pensare il significato di questa grande piazza per Parigi e per i Francesi tutti. Infatti, place de la Concorde, adornata lateralmente da otto statue muliebri che rappresentano le citta' piu' importanti alla fine del XVIII secolo, e al centro dall'obelisco di granito rosa con la punta dorata, donato dall'Egitto alla Francia nel 1831, e' il luogo dove sono state eseguite le decapitazioni di Luigi XVI e, a seguire, della regina Maria Antonietta, di Danton e di Robespierre. Sul lato nordorientale della piazza si affacciano due degli hotel storicamente piu' prestigiosi di Parigi: Hotel de la Marine e Hotel de Crillon.

Attraversiamo gli enormi cancelli che ci permettono di entrare nel Jardin des Tuileries, lasciandoci alla nostra destra l'Orangerie e alla nostra sinistra il Jeu de Paume. Quest'ultimo e' il palazzo cosi' chiamato perche' l'antistante spazio era destinato al gioco della pallacorda e ospitava un tempo una prestigiosa collezione di quadri impressionisti, adesso spostata al Musee d'Orsay. Mentre l'Orangerie ospita una non meno importante collezione impressionista, notevolmente impreziosita dalla presenza delle due camere ovali sulle cui pareti e' apposto Le ninfee di Monet.

L'entrata nei giardini ci restituisce una sensazione di tranquillita' del tutto benefica dopo i diversi chilometri fin la' percorsi. E noi l'assecondiamo totalmente sedendoci sulle pesanti sedie di acciaio dipinte di verde ai lati della enorme vasca circolare che si incontra poco dopo l'ingresso nel giardino. Anche non leggendolo e avendo visto i giardini di Versailles si puo' facilmente percepire che i loro progetti hanno molto in comune, se non altro nello stile adottato. Difatti, a disegnare questo spazio verde nel centro di Parigi e' stato Andre Le Notre, che progetto' anche i giardini di Varsailles.

Alla fine dei giardini, prima di arrivare a place du Carrousel, si erge l'Arc de Triomphe du Carrousel, un arco di dimensioni ridotte rispetto all'Arc de Triomphe di place de Charles De Gualle, ma comunque molto suggestivo. E suggestiona ancora di piu' leggere sulla nostra guida che Napoleone lo volle per celebrare le vittorie delle battaglie del 1805 e che al posto della quadriga che oggi e' posta sopra l'arco, che segna il ritorno dei Borboni sul trono di Francia nel 1828, quando fu costruito, al suo posto un tempo c'erano i Cavalli di San Marco.

Davanti a noi e' gia' perfettamente visibile la Grande Pyramide, la struttura di forma piramidale in vetro alta 21 metri al centro del Cour Carree ('Cortile Quadrato'). Attorno al Cour Carree si sviluppano le tre sezioni del Louvre (Ala Denon, Ala Sully e Ala Richelieu). Sotto questo spiazzo, invece, accessibile dalle scale mobili poste all'interno della Grande Pyramide, si estende la Hall Napoleon, che e' la sezione del Louvre ad accesso libero.

Il fulcro della Hall Napoleon e' il Carrousel du Louvre, il centro commerciale che ospita la controparte antitetica della Grande Pyramide, ovvero la Pyramide Inversee, che e' una piramide di dimensioni piu' ridotte che sviluppa con la punta verso il basso, con il vertice che giunge fino a un metro e mezzo di distanza dal suolo della Hall Napoleon.

Il fascino dato da Dan Brown a questo pezzo di Louvre ne Il Codice Da Vinci e' completamente sminuito da bambini estasiati da questa particolare struttura e dalla curiosita' che suscita. E nulla sono riuscito a pronunciare dopo questa visione relativamente al commento 'Una ferita sulla faccia di Parigi' del commissario Fache nelle prime pagine del romanzo, riferendosi a questo complesso architettonico in stile neomoderno, progettato dall'architetto americano di ori­gine cinese I.M. Pei, voluto dall'allora presidente Mitterand. Realmente, qualunque cosa avrei detto, avrei sbagliato. Proprio come il professor Langdon, protagonista del romanzo.

Giriamo velocemente nel Carrousel du Louvre, soffermandoci negli spazi piu' interessanti aperti a tutti, come la sala che ospita la mostra sulla storia del museo, ma poi andiamo via. La visita delle gallerie del Louvre non era nei miei piani. Era anche tardi ed eravamo stanchi. Prendiamo la metropolitana dalla stazione sotto rue de Rivoli e cosi' si conclude questa giornata, senza nemmeno esser riuscito ad organizzare per nulla la gita fuoriporta a Giverny

Sono riuscito a malapena a capire che sarei dovuto uscire di buon mattino dall'albergo e raggiungere la stazione di Gare de l'Est. Da li' poi prendere un RER che mi avrebbe portato a Vernon e poi, se avessi avuto un po' di fortuna, avrei trovato un autobus turistico che mi avrebbe portato fino a Giverny.

Una follia pensavo tra me e me al mattino seguente uscendo dall'albergo vagando per le strade di Parigi, baciate da uno splendido sole che tuttavia faceva fatica a riscaldare l'aria gelida delle prime ore dell'alba. Ma d'altronde era alta la voglia di non sprecare una giornata di questa breve parentesi parigina nel caos inutile di Disneyland, nonostante l'ottima compagnia.

La mia audacia e' stata presto premiata visto che inaspettatamente al centro informazioni della stazione mi hanno subito dato un depliant con il ricco programma previsto per consentire di visitare il paesino che per tanto tempo ha ospitato e ispirato il grande maestro dell'Impressionismo, Claude Monet. E la cosa mi ha iniettato una fiducia che e' perdurata in me per tutta la giornata, trasformandosi in eccitazione e forse tanto di piu'. Avevo scelto una cosa che mi piaceva, avevo seguito il mio cuore e tutto si e' mosso perche' si verificasse quello che avevo immaginato per quella giornata.

Mi sono accorto presto che a Giverny ci stava per andare un fiume di persone. Mentre realizzo cio', sul comodissimo treno che attraversa silenziosamente e quasi sembra planare sul Lungosenna, fuori da Parigi, in direzione della Bassa Normandia, immerso in un paesaggio da favola, il cielo comincia a velarsi di un sottile strato di nubi alte. Quanto basta per non poter vedere i fiori del Jardin de l'Eau irradiati dai raggi del sole, che sicuramente avrebbero ancora di piu' accentuato la vivacita' dei colori. Ma forse sarebbe stato troppo. Avrei potuto rimanerci imprigionato con il cuore in quel giardino. Una sorta di sensazione di mal d'Africa proiettata nei quadri di Monet, vissuta in un attimo senza tempo.

Alla stazione dei treni di Vernon mi precipito subito alla ricerca della fermata degli autobus per Giverny, ma e' subito fuori. Con prepotenza sono il primo nella fila per salire sull'autobus. Per scongiurare ogni lontana possibilita' di aspettare un altro turno e perdere cosi' del tempo prezioso che avrei potuto dedicare alla mia escursione unica. Dal parcheggio poco fuori dal grazioso borgo di Giverny, raggiungiamo a piedi in pochi minuti la casa-museo di Monet lungo la via principale del paese. Ma la fila per entrare e' gia' lunghissima. E l'unica soluzione e' sorbirsi un'ora e passa di coda. Dopo aver comprato il biglietto per sette euro, si e' proiettati subito nell'anticamera del tour, che e' costituito da uno stanzone luminosissimo dove sono in vendita i souvenir carichi di tutti quei colori che hanno caratterizzato la vita di Monet.

L'uscita da' sui giardini antistanti alla famosa casa dai colori pastello rosa e verde. Anche i bagni per i vistatori sono adornati da riproduzioni di quadri di Monet e, dopo aver apprezzato questo particolare e aver respirato profondamente l'aria e i colori del giardino fiorito, mi appropinquo alla visita della casa lungo un percorso guidato che attraversa le camere piu' significative. Una novita' piacevole e' per me il gusto del pittore anche nel creare il suo habitat dentro le quattro mura. Ricca di colori pastello ognuno sapientemente accostato ad ogni ambiente della casa. Senza immaginarmelo prima, e' stato cosi' che un lungo lasso di tempo di questa visita l'ho trascorso a deliziarmi di questo particolare totalmente a me non noto.

Ogni spostamento e' incredibilmente placido e ogni cosa che in me suscita un'emozione e' un'occasione vissuta di contemplazione. Come raramente capita nella vita di tutti i giorni. E' questa la lezione che mi insegna principalmente questa visita. E ne sono quasi commosso dal non avergli dato importanza nei miei giorni passati.

Dal giardino dei rossi tulipani con cui mi sono fatto fotografare da una graziosa turista asiatica, comincio a dirigermi, attraverso lo stonato sottopasso sormontato dalla strada che rappresenta una ferita insabile di un ambiente cosi' magico, nel Jardin de l'Eau. E tutto diventa ancora piu' lento, il sangue lo sento fluire ancora piu' lentamente nel mio corpo. Il resto sembra lontano. E' un'estasi. Nemmeno andandoci mano nella mano con la donna che piu' si possa amare si potrebbero percepire le stesse sensazioni. E adesso che scrivo me ne rendo conto.

E il mio cuore ritorna a palpitare alla vista di uno dei ponticelli giapponesi tanto amati da Monet - come deduco da quanto fin la' visto, che tanto amata da lui e' stata tutta la cultura giapponese.

Contestualmente a Le ninfee, il ponticello mi fa venire alla mente la prima scena di Midnight in Paris. La' tutto era costruito, a partire dalle ninfee tutte ben posizionate sullo specchio d'acqua su cui rifletteva il sole e sicuramente la luce artificiale del set cinematografico. Quel giorno invece la pozza d'acqua era buia e solo guardando attentamente distinguevi qualche ninfea sparpagliata qua e la' sotto il filo d'acqua del laghetto che affiora. E poi il cielo velato rendeva tutto meno lucente e tutto piu' malinconico. Ma piu' vero. Piu' affascinante.

Dopo tanto, e una ulteriore lunga sosta nei giardini della casa, esco e intraprendo il percorso escursionistico che si divide per le vie di Giverny e il territorio circostante. Ma arrivo solo fino alla chiesetta del paese eretta sul cucuzzolo alla cui sommita' si stende il cimitero tra le cui lapidi si puo' facilmente trovare quella di Claude Monet.

Comincia a farsi tardi. Qualche goccia d'acqua cade dal cielo, ma io passeggio incurante verso l'autobus. E non voglio perdermi nemmeno una passeggiata nel pioppeto vicino al parcheggio, che e' stata fonte di ispirazione di alcuni quadri del maestro. E all'interno del quale e' stato collocato un suo busto.

Un ritorno piu' sereno e anche tanto compiaciuto mi ha dato modo di osservare ancora meglio l'armonia dei paesaggi di quella zona della Francia, di riflettere sull'importanza del rispetto dell'uomo per la natura e di come questo rispetto sia ampiamente ricompensato, attraverso il benessere - se non altro interiore - che in quel momento stavo provando.

Tornando a Montmartre, non ho sprecato un attimo del mio tempo e della mia tanta energia accumulata per fare un giro su al Sacre Coeur, salendo per la strade e la scalinata lunghe e ripide, a volte puzzolenti e sempre rumorose, che dal quartiere Maghreb si levano fino alla cima della collina. Un panorama fantastico sulla citta' nonostante il grigio del cielo e le prime ombre della sera. Ma mi siedo tra le panche dell'affollatissima cattedrale e assisto al rito religioso in lingua francese. Ma sto bene. E anche questo acquisisce un senso.

Avrei voluto iniziare a girovagare per questo quartiere, visitare la vicina l'Eglise Saint Pierre de Montmartre e il Dali' Espace Montmartre, arrivare a place du Tetre e passare per tutti quei posti che hanno qualcosa da raccontare. Il Bateau Lavoir, dove vissero Modigliani e Picasso e tanti altri artisti impressionisti nei momenti di estrema poverta', e il famoso cabaret Au Lapin Agile. E poi passeggiare per rue Lepic e scorrere il Moulin de la Galette oggetto del quadro di Renoir intitolato Le Bal du Moulin de La Galette, e il Cafe' des Deux Moulins dove lavorava la protagonista del film Il favoloso mondo di Amelie. Insomma avrei voluto perdermi con la luce del giorno per le viuzze, le piazze e le scalinate di questo incantevole angolo di Parigi.

A molti potrebbe sembrare ostinazione la mia determinazione ad andare senza alcun indugio a visitare il Musee de l'Orangerie. Ma io dentro sentivo qualcosa che mi trasportava, e non mi opponevo e nemmeno volevo sorprendermi di questo stato di completa interdizione. C'era solo una piccola parte consapevole di me stesso che non faceva altro che ripetermi che era tutto normale. E questo bastava a farmelo credere e a godere di questa estasi.

E mi e' sembrato naturale trovarmi in un attimo a fare la fila per entrare nel museo. Non prima di essermi fatto scattare una foto con la facciata dell'Orangerie sullo sfondo, pero', ed essermi fatto immortalare con davanti alla statua bronzea intitolata Le baiser di Rodin che e' collocata insieme ad altre copie di sculture dello stesso artista, nello spazio antistante al museo.

Avrei dovuto incontrarmi a mezzogiorno a place de la Concorde con gli altri. Alla visita, quindi, avrei dovuto dedicare un'ora e non di piu'. Ma non c'e' voluto molto a convincermi che non avrei rispettato l'appuntamento e cosi' ho invitato i miei compagni di viaggio a fare i loro giri. Ci saremmo visti in luogo e orario da destinarsi. Il non avere piu' un orario ha probabilmente influito il modo di vivere questa nuova parentesi impressionista parigina, in maniera ancora piu' sensazionale.

Inizio il mio tour spingendomi verso le sale ovali sulle che ospitano Le ninfee di Monet. E' quasi un sogno. L'accostamento di colori unico e la capacita' di riprodurre cio' che il giorno prima avevo visto con i miei occhi, e' commovente. Realmente, recepisco il rilassamento di nervi che Monet voleva regalare a coloro che, dopo il caos della Grande Guerra, avevano bisogno di ritrovarlo, passando per l'antistante 'camera di decompressione', appositamente voluta dall'artista.

Ciascuna delle due sale presenta quattro affreschi che ritraggono lo stagno della residenza di Monet, al ritmo delle variazioni di luce, dall'alba al tramonto. Le opere della seconda sala sono arricchite dalla presenza dei salici piangenti nel paesaggio dipinto. Gli ambienti ritratti sono comunque privi di orizzonte e di prospettiva e in essi non si distinguono chiaramente gli elementi (aria, acqua, cielo e terra) che vi partecipano, con la chiara allusione all'infinito e allo spazio in cui bisogna essere relegati per ritrovare il rilassamento completo.

Scendendo al piano inferiore, sono piacevolmente sorpreso dall'aver visitato con un crescente interesse, l'esposizione temporanea Debussy, la musica e le arti, un vero gioiello di documenti impressionisti che fotografano nitidamente il fervore artistico della Belle Epoque non solo dal punto di vista della pittura e della scultura, ma anche della musica, della letteratura e delle mondanita' e dei rapporti tra i vari artisti del tempo. Questa mostra e' stata un piacevolissimo 'fuorionda' che mi ha dato modo di deliziarmi alla vista di affreschi come ad esempio Parc de Saint-Cloud di Vassily Kandinsky.

La visita prosegue con la vista della ricca collezione di Paul Guillaume, venditore d'arte - oltre che collezionista - che sostenne artisti come Soutine, Derain, Picasso e Marie Laurencin. Seguendo il percorso indicato dalla utilissima guida che si puo' prendere gratuitamente all'ingresso del museo, ho attraversato il lungo corridoio ai cui lati sono affissi le prime opere impressioniste, per lo piu' di Renoir e Cezanne e nature morte e ritratti, molto suggestivi per la profondita' di colore e per le geometrie. Per poi arrivare nella sala successiva egemonizzata dalla presenza di alcune opere di un immenso Modigliani. La sua unicita' nel ritrarre i visi delle persone si riassume interamente nel Le portrait de Paul Guillaume, Novo Pilota.

La sala successiva mi ha dato modo di conoscere un artista che per molti aspetti mi ha ricordato Modigliani nel suo stile dei visi allungati. L'originalita' di Marie Laurencin l'ho comunque trovata nella tonalita' comune ai suoi quadri esposti che e' sostanzialmente basata su colori pastello, e tra essi sono rimasto colpito da Portrait de Madame Paul Guillaume.

Non meno piacevole e' stato appurare lo stile di Henri Matisse, fatto di giochi di linee orizzontali e verticali unicamente ravvivate da colori la cui intensita' difficilmente ho trovato in altri artisti. In special modo mi sono soffermato davanti a l'Odalisque a la culotte grise. E' stata poi la volta di Picasso e Derain, per finire quindi con il genio di Maurice Utrillo e Chaim Soutine. Dell'artista lituano, di cui l'Orangerie espone la piu' importante collezione d'Europa con i suoi 22 quadri, sono rimasto del tutto esterrefatto della stravaganza dei soggetti ritratti, come carcasse di animali, ma anche volti deformati, che per molti versi richiamano la corrente espessionista in cui ne e' stato poi anche inquadrato come esponente (nonostante - a causa del suo testardo individualismo - non si e' mai in essa apertamente rispecchiato), e per molti altri lasciano trasparire una chiara inquietudine giovanile di cui egli si vuole disfare.

Pienamente soddisfatto della mia lunga visita all'Orangerie, prendo la metro per raggiungere i miei compagni. Metto cosi' piede per la prima volta sull'Ile de la Cite', il nucleo da cui Parigi si e' sviluppata e da cui ad oggi parte il vortice dei venti arrondissement ('distretti') che la costituiscono. Uscendo dalla metro, di fronte a me c'e' la Sainte-Chapelle, sempre caratterizzata da una lunga fila di turisti che si appresta ad entrare per visitarla. Mi e' dispiaciuto non andarci dentro, sapendo che si tratta un magnifico esempio di raffinato stile gotico francese, i cui ambienti interni sono insolitamente luminosi e colorati nei giorni di sole, dalla tanta luce filtrata attraverso ampi e splendidi mosaici.

E' un giorno di vento frizzante e anche qualche goccia d'acqua comincia a scendere dal cielo grigio, ma nonostante tutto la fila davanti alla Cattedrale di Notre-Dame e' lunga. Furbescamente la elido completamente e mi infilo nel luogo sacro dove prima di tutto mi dedico ad ammirarne le bellezze. Poi facciamo un giro all'esterno e tutt'intorno per trovare un posto dove consumare il nostro pranzo a sacco. E' tutto molto bello e in quel contesto di aiuole e alberi fioriti, lo sarebbe stato ancora di piu' in una giornata di sole. Invece piove sempre piu', ma con un intensita' sopportabile. E' quindi una sottile e insistente pioggia a fare da contorno alla nostra passeggiata letteraria nel Quartiere Latino, uno degli itinerari suggeriti dalla mia inseparabile guida Lonely Planet, che non ho perso tempo a catalogare tra le cose che immancabilmente avrei dovuto fare durante questa esperienza parigina.

Giungiamo in metro alla stazione Cardinal Lemoine. Lungo la via omonima ci siamo fermati davanti all'appartamento dove visse James Joyce e poco piu' avanti quello dove vissero Ernest Hemingway e la sua prima moglie, Hadley. Quindi abbiamo attraversato place de la Contrescarpe, e li' per sbaglio ci siamo seduti al Cafe' des Amateurs, che in Festa mobile veniva descritto come un posto malfamato, ma che noi abbiamo dovuto mestamente ed educatamente salutare ancor prima di prendere qualcosa di caldo, dopo aver consultato la carta.

Abbiamo quindi girato l'angolo dietro al locale, per andare a visitare il portone di rue Descartes che era l'ingresso dell'albergo dove Hemingway si rifugiava per scrivere. Nello stesso albergo era morto trent'anni prima Paul Verlaine. Ritornando in piazza, passiamo davanti all'Au negre Joyeux, un altro dei locali citati da Hemingway nei suoi romanzi, per immetterci in rue Mouffetard e da qui seguiamo pari pari il percorso che Hemingway descrive nel primo capitolo di Festa mobile, fino ad arrivare a place Saint-Michel.

E' veramente eccitante ed emozionante per me avere l'opportunita' di seguire questo tragitto e scandire ogni punto in cui qualcosa di normale era successo in passato, ma che oggi e' diventato qualcosa di straordinario. E non riuscivo a spiegarmi se il merito fosse di Parigi, dei personaggi straordinari o se quegli anni fossero realmente l'epoca d'oro.

Imbocchiamo sulla nostra destra, rue du Pot de Fer o 'rue du Coq d'Or', come ad essa si riferisce George Orwell in Senza un soldo a Parigi e Londra, un romanzo autobiografico che descrive i posti dove ha vissuto lavorando come lavapiatti durante una parentesi della sua vita di estrema miseria. Piu' avanti passiamo davanti al Lycee Henry IV intravedendo la Tour Clovis, ampiamente ristrutturata, ma comunque ultimo reperto dell'abbazia di Sainte-Genevieve (Sainte-Genevieve e' la santa patrona di Parigi) fondata da Clodoveo I nel XIII secolo.

Arriviamo nella piazza che ospita il Pantheon, al cui interno sono custodite le spoglie di famosi personaggi francesi. Girando attorno all'edificio ci lasciamo sulla nostra destra l'Eglise Saint-Etienne-du-Mont e, prima di immetterci nel boulevard Saint-Michelle, facciamo una sosta per riscaldarci, asciugarci un po' e rifocillarci, in un caratteristico cafe'.

Lungo boulevard Saint-Michelle, ci lasciamo alla nostra destra la Sorbonne, antichissima universita' parigina e, dopo aver attraversato boulevard Sain-Germain, arriviamo da li' a poco nel pullulare di vita di place Saint-Michelle, sotto una pioggia finissima che rende tutto magico. Andiamo a fare una foto nella vicina 'nuova' libreria Shakespeare & Company. Per intenderci, quella ripresa in una scena di Midnight in Paris, che nulla ha a che spartire con l'originale, gestita da Sylvia Beach che si trovava al numero 12 di rue de l'Odeon, che andremo a visitare piu' avanti nel nostro tragitto. Anche se al suo posto troveremo un grande portone di un condominio con un annesso anonimo negozio di non so che genere di articoli. Una targa affissa al muro, comunque, ricorda che in quel posto Sylvia Beach pubblico' Ulysse di James Joyce.

Mi innamoro delle viuzze intorno a place Saint-Michelle, ma il tour continua, e siamo ancora parecchio indietro rispetto alla tabella di marcia. Proseguiamo lungo quai des Grands Augustins, famoso per la presenza delle caratteristiche bancarelle dei bouquinistes (venditori di libri di seconda mano) che costeggiano l'argine della Senna. Passiamo davanti alla casa dove Picasso visse e completo' il suo capolavoro Guernica. Ritornando sul boulevard Saint-Germain, ci troviamo davanti alla statua di Georges Danton.

E' tardi. Qualcuno abbandona la passeggiata perche' siamo ormai zuppi d'acqua fino all'ultimo capello. Ma il resto della compagnia va avanti imperterrita, proseguendo su boulevard Saint-Germain, fino ad arrivare all'Eglise Saint-Germain des Pres. Di fronte si trova Les Deux Magots, che Hemingway cita nel racconto La fame era un'ottima disciplina di Festa mobile, quando lo evita uscendo dal Lipp per andare verso casa. Les Deux Magots, assieme al Cafe' de Flore che si trova tutt'oggi alle sue spalle, erano due locali a quell'epoca molto frequentati dagli intellettuali.

Altri locali nei dintorni che abbiamo avuto piacere di 'scovare' secondo le indicazioni della nostra guida, sono l'Hotel Saint-Germain des Pres (dove ha soggiornato negli anni trenta Henry Miller, che a seguito di questa esperienza scrisse Letters to Emil), Bistrot Le Pre aux Clercs (frequentato da Hemingway), il vecchio Hotel d'Alsace (dove mori' Oscar Wilde e soggiorno' Jorge Luis Borges), l'Hotel d'Angleterre (dove Hemingway passo' la sua prima notte quando arrivo' a Parigi), l'Hotel d'York (dove nel 1783 fu firmato il trattato in cui veniva riconosciuta l'indipendenza americana). La serie di locali lungo le viuzze che si intrecciano intorno all'Eglise Saint-Germain si conclude con l'anonimo cafe' Le Comptoir des Saint-Peres, un tempo meglio noto come Michaud, famoso perche' era frequentato da Joyce, come viene descritto anche da Hemingway in Festa mobile.

La luce del giorno viene meno. Facciamo in tempo ad arrivare alla Fointaine des Quate Eveques, davanti all'Eglise Saint-Sulpice, resa famosa dal romanzo Il Codice Da Vinci di Dan Brown. Avrei voluto entrare per mettere quanto meno il piede sulla Linea della Rosa, ma era gia' chiuso. Ci sarebbe stato ancora tanto da vedere. E cosi' ci immettiamo, felici ma con un velo di malinconia, sulla metro che ci porta a Montmartre.

Una calda doccia, un po' di relax, una cena calorica in uno dei tipici locali intorno all'albergo, e siamo pronti a deliziarci alla vista della Tour Eiffel in uno sfavillio di luci, da place du Trocadero. Nulla a che vedere con la vista triste dello stesso monumento, con la luce naturale. Un piacevole momento della giornata che colma di soddisfazione e assopisce i nostri ultimi sogni a Parigi.

E' l'alba di un ultimo giorno che trascorriamo in questa splendida citta'. La pioggerellina caratterizza ancora la nostra permanenza. Ma nulla influisce sul nostro programma. Un tranquillo giro per l'Ile de la Cite', o meglio per quella parte dell'isola che ancora non abbiamo visto. Passiamo davanti al palazzo di giustizia, per arrivare all'estremita' occidentale dell'isola, passando per place Dauphine, per scattare qualche foto sotto la statua di Enrico IV a cavallo e sulla attigua cuspide che divide il fiume in due.

Proseguiamo sul quai ('banchina') meridionale, passando sotto pont Neuf che, nonostante l'appellativo, e' il ponte piu' vecchio di Parigi. Bianco per il colore della pietra che lo costituisce, e sontuoso per le curve prorompenti delle sue arcate, scopriamo con immenso piacere l'angolazione della locandina del film Midnight in Paris che ritrae il ponte e ci immedesimiamo in una serie di foto con l'illusione di essere per un attimo i protagonisti dell'opera di Woody Allen.

E' bello anche ricordare il pranzo, in uno di quei locali tipici intorno a place Saint-Michelle, a tavola vicino alla vetrata che si affaccia sulla strada di mattonelle di porfido costantemente innaffiate dalle gocce di pioggia che cadono placide e incessanti da un cielo grigio e da un'aria gravida di umidita' che inspiegabilmente rende felici alla vista. E in quel momento non vorresti nulla di diverso. Nemmeno da cio' stai per mangiare. Una zuppa francese con pane raffermo e del beuf du Charolais con caratteristica salsa verde. Avrei voluto anche riuscire a sorseggiare un buon vino rosso della Bourgogne. Ma se ne riparlera' in una Parigi di un'altra vita.

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(*) Hemingway, in Festa mobile in realta' lascia intendere all'Asse Storico come qualcosa di piu' complesso. Egli infatti nel racconto Una falsa primavera cita la situazione in cui trovandosi con Hadley nei Jardins des Tuleries spiega che si sostiene che l'Arc de Triomphe e l'Arc de Triomphe du Carrousel sono allineati con l'Arco della Pace di Milano. Dicendo cosi' implicitamente che si ipotizza che Corso Sempione di Milano e' la prosecuzione dell'Asse Storico.

Posted by Graziano Scappatura on novembre 12, 2012 at 12:08 AM GMT+01:00 #

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